Mi hai messo con uno dei razzi ... più piccoli! :-) Razzo tipo "Altair": lunghezza 70 cm. diametro cm. 3; quota raggiunta 1500 m.
(Per la cronaca sono quello a sinistra)
Militare sono diventato dopo! Da ragazzino, come ho già detto, mi occupavo di cannocchiali, microscopi, razzi, aerei, tutto meno che la scuola (grande sbaglio)!
Quando la prima volta riuscii a vedere Saturno (con un cannocchiale sviluppato da un rotolo di cartone per tessuti) mi venne da ..."piangere"! Un piccolo pallino allungato! 25 ingrandimenti!!
Quando scoprii che per raddrizzare un'immagine occorrevano due lenti e non avendone, tagliai la lente oculare in due con il diamante che usava mio padre per il vetro delle cornici; era un artista.
Poi a forza di tentativi e prove, "scoprii" la lente da campo! E le barlow, "inventate" (non conoscevo nemmeno quel termine!). :-)
Bèh, se fosse come questo, sì!
(Devo riportarlo tutto perché non so mettere i link)
Nell’edizione di marzo-aprile 1965 del giornale “The Little Listening Post”, Washington D.C., si parlò dell’avventura vissuta dal signor Sid Padrick, un californiano di 45 anni. Il 30 gennaio 1965 Padrick passò apparentemente due ore a bordo di una Nave Spaziale sconosciuta.
Padrick è un tecnico di radio e televisori, che lavora a Selva Beach (Watsonville), sulla costa del Pacifico, circa 120 chilometri a Sud di San Francisco. Passeggiando sulla spiaggia, non lontano da casa sua, verso le 2 del mattino, egli afferma di aver sentito improvvisamente un sibilo simile a quello di un aereo a reazione e di aver scorto nella notte i contorni di un immenso apparecchio di 15 metri di diametro e circa 10 di altezza. La forma del veicolo richiamava realmente quella di due piatti rovesciati l’uno contro l’altro. In preda al panico, Padrick si mise a correre, ma sentì una voce proveniente dall’apparecchio: “Non abbia paura, non siamo ostili”. Tentando di fuggire, sentì la voce ripetere il messaggio: “Noi non vi vogliamo alcun male”. Poi la voce lo invitò a salire a bordo. Padrick si fermò, pietrificato. Tornò lentamente sui propri passi, vide una porta aperta e salì a bordo. La porta si chiuse dietro di lui.
L’abitacolo era grande all’incirca 2 metri per 2. Un’altra porta scorrevole si aprì e Padrick penetrò nella stanza. Un uomo l’aspettava. La somiglianza di quest’uomo con noi stessi – disse il testimone – era incredibile. Portava una tuta da volo che gli aderiva al corpo e parlava l’inglese alla perfezione. L’uomo appariva stupito come il testimone. Quest’ultimo ebbe l’impressione che l’apparecchio si fosse spostato durante il suo soggiorno a bordo, perché più tardi ebbe il permesso di fare un breve giro e notò che il paesaggio era cambiato. Si trovava in una regione montagnosa. Ma non percepì alcun movimento. Il veicolo comprendeva quattordici scompartimenti su due piani collegati con un ascensore. A bordo c’erano otto uomini e una donna. Tutti portavano la stessa tuta azzurra. Ma solo quello di cui avevo sentito la voce gli rivolse la parola. Padrick afferma di aver visto una quantità di quadri di comando estremamente complicati. Gli occupanti, tutti affaccendati, gli diedero appena un’occhiata quando entrò.
Gli venne mostrata un’enorme lente, sulla quale Padrick riuscì a vedere un oggetto di forma allungata, il vascello di navigazione (vascello-madre) che si trovava in quel momento nello spazio. L’uomo gli spiegò che provenivano da un pianeta situato a parecchi anni-luce nello spazio. Dopo aver ricevuto la promessa di un nuovo incontro, Padrick fu rilasciato, discese dal veicolo alle 4 del mattino e rientrò a casa.
Il giornale che abbiamo più sopra citato riportò in aprile una lunga intervista con il testimone. Il colloquio fu registrato su nastro magnetico.
Padrick fu sottoposto al fuoco incrociato delle domande poste dai suoi interlocutori: le sue risposte furono immediate, dirette, chiare e precise.
Le indagini condotte sul suo conto presso la gente del luogo rivelarono che era tenuto in considerazione da tutti.
Questi sono dei brani tratti dalla registrazione di quell’intervista.
Tutte le parole, le espressioni, sono quelle del testimone Padrick. Lasciamo giudicare al lettore.
- Perché i visitatori dello spazio vengono qui?
“Sono qui in missione di esplorazione di osservazione. Hanno detto di voler ritornare per delle osservazioni supplementari. Credo che osservino soprattutto la gente. Non hanno fatto alcuna allusione al governo, alla politica o al nostro avvenire. Mi hanno dato l’impressione di voler prendere contatto in futuro con un maggior numero di persone. Dicono di aver avuto dei contatti con un intero gruppo di persone due mesi fa in Nuova Zelanda”.
- Da dove vengono?
“Il mio interlocutore mi disse che venivano da un pianeta più lontano di un altro che noi osserviamo già, ma che non osserviamo loro stessi. Non ha detto che non siamo riusciti ad osservarli, ma piuttosto che non li abbiamo osservati. Io penso che questo pianeta si trovi nel nostro sistema solare”.
- Chi c’era a bordo?
“Gente come voi e me. Non dobbiamo aver paura di loro. Credo che non siano né angeli né dei robot. Non si dedicano ad attività che mettono in pericolo le nostre vite. Dopo questo contatto con loro, ne sono assolutamente certo”.
- Qual è l’aspetto di questi esseri?
“Erano tutti alti circa 175 – 178 cm. Il loro peso era sui 68 – 70 chilogrammi. Tutti hanno capelli corti, tranne la donna che li porta pettinati all’indietro e nascosti nella tuta. Non siamo entrati nella stanza che lei occupava, ma siamo passati davanti alla porta aperta. L’ho quindi vista solo per un istante. Era molto bella. Penso che la loro età sia sui 25 – 30 anni. Sembrano vivaci, energici e intelligenti. Tutti avevano capelli castani e la pelle molto chiara. Il loro viso era simile al nostro ma più affilato verso il basso: mento e naso appuntiti. Gli occhi sono uguali ai nostri”.
- Com’erano vestiti?
“Portavano tutti una tuta a due pezzi aderente al corpo, azzurra, quasi bianca (lo stesso colore della parete), apparentemente non c’erano bottoni o cerniere. Le scarpe, una specie di stivali, sembravano tutt’uno con la tuta. Erano dotate di suole e di tacchi. Questa gente si muoveva a passi felpati su un tappeto che sembrava di gomma. Il colletto della tuta aveva una decorazione molto graziosa. Terminava a V sul davanti e portava una specie di nastro i cui colori non somigliavano per niente a quelli che conosco. Erano molto più belli dei colori che conosco”.
- L’uomo parlava bene l’inglese?
“Non sembrava uno straniero. Parlava un inglese perfetto. Credo che essi riescano ad adattarsi a qualunque condizione. Tuttavia mi ha confidato che lui era il solo dei nove occupanti a parlare l’inglese”.
- C’è stata telepatia nei vostri contatti a bordo?
“Dopo ognuna delle mie domande, l’uomo osservava una pausa di circa 25 – 30 secondi. Forse riceveva delle istruzioni telepatiche prima di rispondere. Suppongo che i membri dell’equipaggio comunicassero per telepatia, perché non li ho mai sentiti discutere tra loro”.
- Quali furono le reazioni degli altri occupanti?
“Mi diedero un’occhiata quando entrai nel loro compartimento, ma non interruppero il lavoro, come se la mia visita non li riguardasse”.
- I dettagli dell’interno dell’apparecchio?
“Il pavimento, le pareti e il soffitto avevano la stessa apparenza (bianco – azzurro pallido). Le stanze non avevano angoli. Tutto era arrotondato. L’illuminazione indiretta sembrava emanata dalle pareti: non c’erano lampade. In altre parole, tutto era illuminato”.
- C’erano dei pannelli di strumenti?
“Ogni compartimento comprendeva dei quadri di strumenti disposti sulla parete. In alcuni locali ce n’erano quattro o cinque, in altri quindici o venti. Ma si assomigliavano tutti, benché fossero molto differenti dai nostri. Sembravano amovibili, ma non ho potuto avvicinarmi. Nella prima stanza dove eravamo entrati volli avvicinarmi a una parete, ma il mio ospite fece un gesto per impedirmelo. Non mi disse la ragione e io non gliela domandai. Ho visto dei contrassegni scorrere sugli strumenti, qualcosa che mi ricordava il nastro delle telescriventi, con dei punti e delle linee che si spostavano da sinistra a destra. Non c’erano degli schermi come quelli dei nostri oscilloscopi. Er contro, c’erano delle specie di manometri senza divisioni sui quadranti. Il mio ospite mi fece notare che i quadranti s’illuminavano soltanto in servizio”.
- L’apparecchio era controllato da un’altra nave spaziale?
“Sono stato messo davanti a una enorme lente che doveva costituire soltanto una parte di un sistema ottico d’osservazione. La riproduzione delle immagini aveva un effetto tridimensionale. Quella che la mia guida mi fece osservare era l’immagine di quello che egli chiamò vascello di navigazione (non pronunciò mai le parole vascello – madre). Benché fossero le 2.45 o le 3 del mattino, la nave era illuminata dal sole, nonostante che in quel momento essa fosse molto lontana dalla terra, forse a 1.500 chilometri o più. Non ho notato alcuna iscrizione, alcun oblò sulla nave spaziale, la cui forma richiamava quella di un sigaro. Era impossibile calcolarne le dimensioni. Era circondata da una specie di nebbiolina o di alone, malgrado la limpidezza dell’atmosfera. Dal momento che lasciai l’apparecchio, non la potei scorgere a occhio nudo. Non l’ho più vista dopo il decollo dell’apparecchio. Mi hanno assicurato dopo le misure fatte, che quelle navi erano lunghe da 2 a 2,5 chilometri. L’uomo mi disse in seguito che l’apparecchio attingeva tutta la sua energia dal vascello di navigazione, che lo guidava interamente dallo spazio (Il disco sarebbe dunque una sorta di robot abitato (N.d.T.). Ne ho concluso che lo strumento complicato di cui disponeva l’equipaggio serviva soltanto all’osservazione”.
- E il volo sulla regione montagnosa?
“Dopo una sosta, l’astronauta mi spiegò che il nostro apparecchio si era spostato ed era parcheggiato ora su un vasto terreno per campeggio di roulottes, non utilizzato in inverno. “Qui non ci potranno vedere”, aggiunse. Non ho la minima idea del luogo dove ci trovavamo; in seguito ricevetti parecchi informazioni con la descrizione delle zone di campeggio esistenti nella regione. Una sola corrisponde a quella descritta dall’astronauta: si trova a circa 260 chilometri da casa mia!”.
- Ha toccato la superficie esterna dell’apparecchio?
“Dopo l’atterraggio tra le montagne, l’uomo mi ordinò di uscire in modo da rendermi conto che non stavo sognando. Lasciai dunque da solo l’apparecchio e ci girai intorno. Mi sembrò fatto di un materiale non metallico, ma molto duro. Il solo prodotto analogo che conosco è il plexiglass. Quello dell’apparecchio era lucido fino all’inverosimile. L’astronauta non mi proibì di toccarlo e io non risentii alcun effetto particolare, né in quel momento né più tardi. Mi infilai sotto l’apparecchio e guardai i supporti sui quali poggiava. Cercai di scoprire dei segni d’immatricolazione o delle iscrizioni, ma non c’era niente”.
- Le fotografie della loro città?
“L’astronauta mi mostrò una foto e disse: “Ecco dove viviamo”. Quella foto mostrava degli edifici sullo sfondo, a forma di falce di luna (a cupola). Si vedevano delle finestre, ma posso affermare di non aver mai visto una fotografia così strana. La disposizione degli edifici non aveva niente a che vedere con i nostri. Lontani gli uni dagli altri, la disposizione tra i seguenti osservava una distanza ancora superiore rispetto a quella tra gli edifici precedenti. Si immaginavano delle strade in lontananza. In primo piano c’erano degli alberi e dei cespugli; la foto era molto chiara, si vedevano i più piccoli dettagli”.
- Come vivono a casa loro?
“L’astronauta mi disse: “Come sapete, noi non abbiamo malattie, delitti, vizi, polizia. Non abbiamo scuole. I bambini apprendono un mestiere fin dalla più tenera infanzia. A causa della lunga durata della nostra vita, abbiamo un rigoroso controllo delle nascite. Non abbiamo denaro. Viviamo assolutamente uniti”.
- Il vostro incontro faceva parte di un piano premeditato?
“Certo. E questo piano ha un aspetto religioso o spirituale. L’astronauta mi condusse nella “camera delle consultazioni” (così chiamata dall’astronauta), una specie di cappella all’interno della quale l’armonia dei colori era così bella che sono stato lì lì per svenire. E’ impossibile descriverla. Occupavano la stanza otto sedie, uno sgabello e quello che mi parve essere un altare. “Desidera invocare la divinità suprema?”, mi domandò. Di nuovo mi sentii svenire. Non sapevo che fare. “Noi ne abbiamo una” gli risposi, “e la chiamiamo Dio. Stiamo parlando della stessa cosa?” “Non ce n’è che una sola”, disse lui. Mi inginocchiai così sullo gabellino e dissi la mia solita preghiera. Ho 45 anni e non ho mai sentito la presenza dell’Essere supremo come in quella notte”.
- Ha avuto la sensazione di essere sottoposto a un influsso elettrico?
“No, era una sensazione molto eccitante, qualcosa che veramente elevava”.
- L’astronauta era più una guida spirituale che un uomo di scienza?
“Non credo di poterlo considerare come uno scienziato, benché il livello scientifico di quelle persone sia evidente. Ma i loro legami con la divinità suprema hanno un significato molto più profondo delle loro conoscenze tecniche. Si potrebbe dire che per loro, religione e scienza fanno un tutt’uno”.
- Il tempo e le distanze?
“Si calcolano in termini di “luci”. Quando gli domandai a quale velocità viaggiassero nello spazio, mi spiegò che quella velocità era limitata soltanto da un’altra alla quale essi potevano spostare la loro fonte di energia. Aggiunse che l’apparecchio nel quale mi trovavo non era spinto da energia sua propria, ma da quella che gli era trasmessa dal fascio di un raggio di luce o di una fonte di luce da loro conosciuta”.
- Prenderanno contatti con il governo?
“No, per il momento. A detta dell’astronauta, ora non desiderano contatti ufficiali. Ma io penso più alle autorità militari che al governo. Gli ho domandato se avevano già tentato di prendere contatto con il governo o con le autorità militari. La sua risposta fu negativa. “Forse vi posso essere utile per stabilire questo contatto”, continuai. Risposta: “No”. E aggiunse: “La vostra nazione e tutte le nazioni vogliono aggredire senza ragione un oggetto sconosciuto, soltanto per distruggerlo”. Le parole “senza ragione” significano che essi non sono mai venuti armati tra noi e che non c’è alcuna ragione per attaccarli e distruggerli. Ma noi conosciamo il nostro atteggiamento: eliminare tutto ciò che non possiamo identificare”.
- E’ stata notata da parte dell’UFO una certa ostilità?
“L’Air Force e altri organi inquirenti credono all’esistenza di apparecchi ostili. L’astronauta mi ha assicurato che non era il caso e che l’apparecchio a bordo del quale mi trovavo non aveva mai sostenuto il fuoco di nessuno. Ma si era sparato su delle navi spaziali. Gli ho domandato se erano già stati impegnati in combattimento. Mi ha risposto: “Si, ma non con l’obiettivo di distruggere, di distruggerci”. Dopo questa allusione, ho l’impressione che noi siamo più vulnerabili di loro. Io non penso che il fatto che noi cerchiamo di abbatterli causi loro la minima preoccupazione”.
- Come possiamo stabilire un contatto con loro?
“Noi non possiamo pretendere di controllarli, pertanto non possiamo stabilire alcun contatto. Soltanto loro possono desiderare di farlo. Alla mia richiesta di sapere se avrei potuto come radioamatore, comunicare con loro, mi ha risposto di no. I loro sistemi di comunicazione ci sono sconosciuti, ma cionondimeno essi ci ascoltano. Suppongo che essi comunichino per mezzo di raggi luminosi o magnetici”.
- Ha delle foto o una prova tangibile?
“Non avevo la macchina fotografica con me. Non ho pensato di chiedere il permesso di portar via qualcosa. Fu una tale sorpresa, un tale colpo, che non ho pensato a nulla”.
- E il suo interrogatorio di tre ore da parte dell’Air Force?
“Mi hanno chiesto un resoconto circostanziato. Ho raccontato loro esattamente quello che era successo. Erano i primi ad ascoltarmi. Mi dissero di non parlare in pubblico di taluni dettagli. Per quanto mi riguarda, tutto poteva essere rivelato. Non vedo perché si debba nascondere qualcosa. Mi si chiese di non dire che gli extraterrestri non avevano denaro, di non rivelare niente sul genere e le dimensioni dell’apparecchio, perché quello avrebbe potuto voler dire, agli occhi del pubblico, che l’Air Force non fa il suo dovere. Ho risposto loro che non c’era alcun motivo di preoccupazione”.
- L’Air Force ha divulgato informazioni che confermano o che riguardano la sua esperienza?
“Si, all’epoca. Ma io non insisto. Non tento più di provare quello che è accaduto. Mi si crea o no, m’importa poco. Ma io dico che l’Air Force ci crede. Ha indagato parecchie volte nella regione. Gli inquirenti vennero qui poco tempo dopo l’avvenimento ed ebbero la prova assoluta che un apparecchio era atterrato già prima del fatto e dopo”.
- Ci sono ancora altri dettagli che l’Air Force voleva mettere a tacere?
“Si, qualcuno: i mezzi di comunicazione e la fonte d’energia. Anche il nome dell’astronauta. Mi hanno detto di non ripetere mai quel nome, perché non voleva dir niente. L’astronauta mi aveva detto: “Può chiamarmi Xeno”. Questo non era necessariamente il suo nome. L’ho chiamato Zeno o Zeeno, ma era proprio Xeno. Secondo il dizionario vuol dire “straniero”.
- Si metteranno ancora in contatto con lei?
“Si, siamo d’accordo. Ma il prossimo incontro sarà per mia, non per loro scelta. Il segnale sarà dato dall’esecuzione di un atto convenuto tra noi. Essi mi osserveranno”.
- Qual è il senso di questo incontro?
“Per me ha molto più significato di una semplice visita di extraterrestri. Mi sono sentito trasformato, elevato molto al di sopra di tutto quello che prima avrei potuto immaginare”.
Commento
Fantasia o realtà? Ecco la domanda. Se un avvenimento identico o quasi non fosse stato già riferito da parecchi testimoni viventi agli antipodi del nostro pianeta, si sarebbe inclini a chiudere la pratica e ad archiviare la faccenda. Quelli che hanno vissuto tali avventure sono quasi sempre refrattari alla divulgazione. Bisogna aspettare dei mesi, spesso degli anni, perché le lingue si sciolgano. Niente di più comprensibile. Nessuno desidera attirarsi i lazzi del pubblico o rischiare di perdere una posizione raggiunta a caro prezzo. Uno dei fatti più significativi in favore della veridicità della storia è l’atteggiamento dell’Air Force, molto contrariata dall’apparizione di questi apparecchi sconosciuti. Da una parte l’Air Force nega il fenomeno qualunque esso sia, dall’altra essa si vede costretta a indagare conservando nello stesso tempo l’anonimato e il segreto. E’ una situazione impossibile. Ma il fatto che sia provato che l’Air Force ha sparato su degli apparecchi (non è un segreto per nessuno negli Stati Uniti) conferisce al racconto il carattere di un’avventura realmente vissuta.
(Dal volume:"Contatti UFO"; R. J. Perrin -De Vecchi Ed.)
Molto interessante. Questo tipo di abduction, è diverso da quelli studiati da Malanga. Questo ricorda un pò il caso Amicizia e in parte quello di Travis Walton. Rimane da capire come interpretare il punto in cui dice e crede che questa gente abita su un pianeta del nostro sistema solare
Infatti ne parlo pochissimo sul topicpersonale di Incontri Ravvicinati (salvo di qualche collega) .... Però questo rientra nei casi classici, già, di una volta ...
(Per la cronaca sono quello a sinistra)
Quando la prima volta riuscii a vedere Saturno (con un cannocchiale sviluppato da un rotolo di cartone per tessuti) mi venne da ..."piangere"! Un piccolo pallino allungato! 25 ingrandimenti!!
Quando scoprii che per raddrizzare un'immagine occorrevano due lenti e non avendone, tagliai la lente oculare in due con il diamante che usava mio padre per il vetro delle cornici; era un artista.
Poi a forza di tentativi e prove, "scoprii" la lente da campo! E le barlow, "inventate" (non conoscevo nemmeno quel termine!). :-)
(Devo riportarlo tutto perché non so mettere i link)
Nell’edizione di marzo-aprile 1965 del giornale “The Little Listening Post”, Washington D.C., si parlò dell’avventura vissuta dal signor Sid Padrick, un californiano di 45 anni. Il 30 gennaio 1965 Padrick passò apparentemente due ore a bordo di una Nave Spaziale sconosciuta.
Padrick è un tecnico di radio e televisori, che lavora a Selva Beach (Watsonville), sulla costa del Pacifico, circa 120 chilometri a Sud di San Francisco. Passeggiando sulla spiaggia, non lontano da casa sua, verso le 2 del mattino, egli afferma di aver sentito improvvisamente un sibilo simile a quello di un aereo a reazione e di aver scorto nella notte i contorni di un immenso apparecchio di 15 metri di diametro e circa 10 di altezza. La forma del veicolo richiamava realmente quella di due piatti rovesciati l’uno contro l’altro. In preda al panico, Padrick si mise a correre, ma sentì una voce proveniente dall’apparecchio: “Non abbia paura, non siamo ostili”. Tentando di fuggire, sentì la voce ripetere il messaggio: “Noi non vi vogliamo alcun male”. Poi la voce lo invitò a salire a bordo. Padrick si fermò, pietrificato. Tornò lentamente sui propri passi, vide una porta aperta e salì a bordo. La porta si chiuse dietro di lui.
L’abitacolo era grande all’incirca 2 metri per 2. Un’altra porta scorrevole si aprì e Padrick penetrò nella stanza. Un uomo l’aspettava. La somiglianza di quest’uomo con noi stessi – disse il testimone – era incredibile. Portava una tuta da volo che gli aderiva al corpo e parlava l’inglese alla perfezione. L’uomo appariva stupito come il testimone. Quest’ultimo ebbe l’impressione che l’apparecchio si fosse spostato durante il suo soggiorno a bordo, perché più tardi ebbe il permesso di fare un breve giro e notò che il paesaggio era cambiato. Si trovava in una regione montagnosa. Ma non percepì alcun movimento. Il veicolo comprendeva quattordici scompartimenti su due piani collegati con un ascensore. A bordo c’erano otto uomini e una donna. Tutti portavano la stessa tuta azzurra. Ma solo quello di cui avevo sentito la voce gli rivolse la parola. Padrick afferma di aver visto una quantità di quadri di comando estremamente complicati. Gli occupanti, tutti affaccendati, gli diedero appena un’occhiata quando entrò.
Gli venne mostrata un’enorme lente, sulla quale Padrick riuscì a vedere un oggetto di forma allungata, il vascello di navigazione (vascello-madre) che si trovava in quel momento nello spazio. L’uomo gli spiegò che provenivano da un pianeta situato a parecchi anni-luce nello spazio. Dopo aver ricevuto la promessa di un nuovo incontro, Padrick fu rilasciato, discese dal veicolo alle 4 del mattino e rientrò a casa.
Il giornale che abbiamo più sopra citato riportò in aprile una lunga intervista con il testimone. Il colloquio fu registrato su nastro magnetico.
Padrick fu sottoposto al fuoco incrociato delle domande poste dai suoi interlocutori: le sue risposte furono immediate, dirette, chiare e precise.
Le indagini condotte sul suo conto presso la gente del luogo rivelarono che era tenuto in considerazione da tutti.
Questi sono dei brani tratti dalla registrazione di quell’intervista.
Tutte le parole, le espressioni, sono quelle del testimone Padrick. Lasciamo giudicare al lettore.
- Perché i visitatori dello spazio vengono qui?
“Sono qui in missione di esplorazione di osservazione. Hanno detto di voler ritornare per delle osservazioni supplementari. Credo che osservino soprattutto la gente. Non hanno fatto alcuna allusione al governo, alla politica o al nostro avvenire. Mi hanno dato l’impressione di voler prendere contatto in futuro con un maggior numero di persone. Dicono di aver avuto dei contatti con un intero gruppo di persone due mesi fa in Nuova Zelanda”.
- Da dove vengono?
“Il mio interlocutore mi disse che venivano da un pianeta più lontano di un altro che noi osserviamo già, ma che non osserviamo loro stessi. Non ha detto che non siamo riusciti ad osservarli, ma piuttosto che non li abbiamo osservati. Io penso che questo pianeta si trovi nel nostro sistema solare”.
- Chi c’era a bordo?
“Gente come voi e me. Non dobbiamo aver paura di loro. Credo che non siano né angeli né dei robot. Non si dedicano ad attività che mettono in pericolo le nostre vite. Dopo questo contatto con loro, ne sono assolutamente certo”.
- Qual è l’aspetto di questi esseri?
“Erano tutti alti circa 175 – 178 cm. Il loro peso era sui 68 – 70 chilogrammi. Tutti hanno capelli corti, tranne la donna che li porta pettinati all’indietro e nascosti nella tuta. Non siamo entrati nella stanza che lei occupava, ma siamo passati davanti alla porta aperta. L’ho quindi vista solo per un istante. Era molto bella. Penso che la loro età sia sui 25 – 30 anni. Sembrano vivaci, energici e intelligenti. Tutti avevano capelli castani e la pelle molto chiara. Il loro viso era simile al nostro ma più affilato verso il basso: mento e naso appuntiti. Gli occhi sono uguali ai nostri”.
- Com’erano vestiti?
“Portavano tutti una tuta a due pezzi aderente al corpo, azzurra, quasi bianca (lo stesso colore della parete), apparentemente non c’erano bottoni o cerniere. Le scarpe, una specie di stivali, sembravano tutt’uno con la tuta. Erano dotate di suole e di tacchi. Questa gente si muoveva a passi felpati su un tappeto che sembrava di gomma. Il colletto della tuta aveva una decorazione molto graziosa. Terminava a V sul davanti e portava una specie di nastro i cui colori non somigliavano per niente a quelli che conosco. Erano molto più belli dei colori che conosco”.
- L’uomo parlava bene l’inglese?
“Non sembrava uno straniero. Parlava un inglese perfetto. Credo che essi riescano ad adattarsi a qualunque condizione. Tuttavia mi ha confidato che lui era il solo dei nove occupanti a parlare l’inglese”.
- C’è stata telepatia nei vostri contatti a bordo?
“Dopo ognuna delle mie domande, l’uomo osservava una pausa di circa 25 – 30 secondi. Forse riceveva delle istruzioni telepatiche prima di rispondere. Suppongo che i membri dell’equipaggio comunicassero per telepatia, perché non li ho mai sentiti discutere tra loro”.
- Quali furono le reazioni degli altri occupanti?
“Mi diedero un’occhiata quando entrai nel loro compartimento, ma non interruppero il lavoro, come se la mia visita non li riguardasse”.
- I dettagli dell’interno dell’apparecchio?
“Il pavimento, le pareti e il soffitto avevano la stessa apparenza (bianco – azzurro pallido). Le stanze non avevano angoli. Tutto era arrotondato. L’illuminazione indiretta sembrava emanata dalle pareti: non c’erano lampade. In altre parole, tutto era illuminato”.
- C’erano dei pannelli di strumenti?
“Ogni compartimento comprendeva dei quadri di strumenti disposti sulla parete. In alcuni locali ce n’erano quattro o cinque, in altri quindici o venti. Ma si assomigliavano tutti, benché fossero molto differenti dai nostri. Sembravano amovibili, ma non ho potuto avvicinarmi. Nella prima stanza dove eravamo entrati volli avvicinarmi a una parete, ma il mio ospite fece un gesto per impedirmelo. Non mi disse la ragione e io non gliela domandai. Ho visto dei contrassegni scorrere sugli strumenti, qualcosa che mi ricordava il nastro delle telescriventi, con dei punti e delle linee che si spostavano da sinistra a destra. Non c’erano degli schermi come quelli dei nostri oscilloscopi. Er contro, c’erano delle specie di manometri senza divisioni sui quadranti. Il mio ospite mi fece notare che i quadranti s’illuminavano soltanto in servizio”.
- L’apparecchio era controllato da un’altra nave spaziale?
“Sono stato messo davanti a una enorme lente che doveva costituire soltanto una parte di un sistema ottico d’osservazione. La riproduzione delle immagini aveva un effetto tridimensionale. Quella che la mia guida mi fece osservare era l’immagine di quello che egli chiamò vascello di navigazione (non pronunciò mai le parole vascello – madre). Benché fossero le 2.45 o le 3 del mattino, la nave era illuminata dal sole, nonostante che in quel momento essa fosse molto lontana dalla terra, forse a 1.500 chilometri o più. Non ho notato alcuna iscrizione, alcun oblò sulla nave spaziale, la cui forma richiamava quella di un sigaro. Era impossibile calcolarne le dimensioni. Era circondata da una specie di nebbiolina o di alone, malgrado la limpidezza dell’atmosfera. Dal momento che lasciai l’apparecchio, non la potei scorgere a occhio nudo. Non l’ho più vista dopo il decollo dell’apparecchio. Mi hanno assicurato dopo le misure fatte, che quelle navi erano lunghe da 2 a 2,5 chilometri. L’uomo mi disse in seguito che l’apparecchio attingeva tutta la sua energia dal vascello di navigazione, che lo guidava interamente dallo spazio (Il disco sarebbe dunque una sorta di robot abitato (N.d.T.). Ne ho concluso che lo strumento complicato di cui disponeva l’equipaggio serviva soltanto all’osservazione”.
- E il volo sulla regione montagnosa?
“Dopo una sosta, l’astronauta mi spiegò che il nostro apparecchio si era spostato ed era parcheggiato ora su un vasto terreno per campeggio di roulottes, non utilizzato in inverno. “Qui non ci potranno vedere”, aggiunse. Non ho la minima idea del luogo dove ci trovavamo; in seguito ricevetti parecchi informazioni con la descrizione delle zone di campeggio esistenti nella regione. Una sola corrisponde a quella descritta dall’astronauta: si trova a circa 260 chilometri da casa mia!”.
- Ha toccato la superficie esterna dell’apparecchio?
“Dopo l’atterraggio tra le montagne, l’uomo mi ordinò di uscire in modo da rendermi conto che non stavo sognando. Lasciai dunque da solo l’apparecchio e ci girai intorno. Mi sembrò fatto di un materiale non metallico, ma molto duro. Il solo prodotto analogo che conosco è il plexiglass. Quello dell’apparecchio era lucido fino all’inverosimile. L’astronauta non mi proibì di toccarlo e io non risentii alcun effetto particolare, né in quel momento né più tardi. Mi infilai sotto l’apparecchio e guardai i supporti sui quali poggiava. Cercai di scoprire dei segni d’immatricolazione o delle iscrizioni, ma non c’era niente”.
- Le fotografie della loro città?
“L’astronauta mi mostrò una foto e disse: “Ecco dove viviamo”. Quella foto mostrava degli edifici sullo sfondo, a forma di falce di luna (a cupola). Si vedevano delle finestre, ma posso affermare di non aver mai visto una fotografia così strana. La disposizione degli edifici non aveva niente a che vedere con i nostri. Lontani gli uni dagli altri, la disposizione tra i seguenti osservava una distanza ancora superiore rispetto a quella tra gli edifici precedenti. Si immaginavano delle strade in lontananza. In primo piano c’erano degli alberi e dei cespugli; la foto era molto chiara, si vedevano i più piccoli dettagli”.
- Come vivono a casa loro?
“L’astronauta mi disse: “Come sapete, noi non abbiamo malattie, delitti, vizi, polizia. Non abbiamo scuole. I bambini apprendono un mestiere fin dalla più tenera infanzia. A causa della lunga durata della nostra vita, abbiamo un rigoroso controllo delle nascite. Non abbiamo denaro. Viviamo assolutamente uniti”.
- Il vostro incontro faceva parte di un piano premeditato?
“Certo. E questo piano ha un aspetto religioso o spirituale. L’astronauta mi condusse nella “camera delle consultazioni” (così chiamata dall’astronauta), una specie di cappella all’interno della quale l’armonia dei colori era così bella che sono stato lì lì per svenire. E’ impossibile descriverla. Occupavano la stanza otto sedie, uno sgabello e quello che mi parve essere un altare. “Desidera invocare la divinità suprema?”, mi domandò. Di nuovo mi sentii svenire. Non sapevo che fare. “Noi ne abbiamo una” gli risposi, “e la chiamiamo Dio. Stiamo parlando della stessa cosa?” “Non ce n’è che una sola”, disse lui. Mi inginocchiai così sullo gabellino e dissi la mia solita preghiera. Ho 45 anni e non ho mai sentito la presenza dell’Essere supremo come in quella notte”.
- Ha avuto la sensazione di essere sottoposto a un influsso elettrico?
“No, era una sensazione molto eccitante, qualcosa che veramente elevava”.
- L’astronauta era più una guida spirituale che un uomo di scienza?
“Non credo di poterlo considerare come uno scienziato, benché il livello scientifico di quelle persone sia evidente. Ma i loro legami con la divinità suprema hanno un significato molto più profondo delle loro conoscenze tecniche. Si potrebbe dire che per loro, religione e scienza fanno un tutt’uno”.
- Il tempo e le distanze?
“Si calcolano in termini di “luci”. Quando gli domandai a quale velocità viaggiassero nello spazio, mi spiegò che quella velocità era limitata soltanto da un’altra alla quale essi potevano spostare la loro fonte di energia. Aggiunse che l’apparecchio nel quale mi trovavo non era spinto da energia sua propria, ma da quella che gli era trasmessa dal fascio di un raggio di luce o di una fonte di luce da loro conosciuta”.
- Prenderanno contatti con il governo?
“No, per il momento. A detta dell’astronauta, ora non desiderano contatti ufficiali. Ma io penso più alle autorità militari che al governo. Gli ho domandato se avevano già tentato di prendere contatto con il governo o con le autorità militari. La sua risposta fu negativa. “Forse vi posso essere utile per stabilire questo contatto”, continuai. Risposta: “No”. E aggiunse: “La vostra nazione e tutte le nazioni vogliono aggredire senza ragione un oggetto sconosciuto, soltanto per distruggerlo”. Le parole “senza ragione” significano che essi non sono mai venuti armati tra noi e che non c’è alcuna ragione per attaccarli e distruggerli. Ma noi conosciamo il nostro atteggiamento: eliminare tutto ciò che non possiamo identificare”.
- E’ stata notata da parte dell’UFO una certa ostilità?
“L’Air Force e altri organi inquirenti credono all’esistenza di apparecchi ostili. L’astronauta mi ha assicurato che non era il caso e che l’apparecchio a bordo del quale mi trovavo non aveva mai sostenuto il fuoco di nessuno. Ma si era sparato su delle navi spaziali. Gli ho domandato se erano già stati impegnati in combattimento. Mi ha risposto: “Si, ma non con l’obiettivo di distruggere, di distruggerci”. Dopo questa allusione, ho l’impressione che noi siamo più vulnerabili di loro. Io non penso che il fatto che noi cerchiamo di abbatterli causi loro la minima preoccupazione”.
- Come possiamo stabilire un contatto con loro?
“Noi non possiamo pretendere di controllarli, pertanto non possiamo stabilire alcun contatto. Soltanto loro possono desiderare di farlo. Alla mia richiesta di sapere se avrei potuto come radioamatore, comunicare con loro, mi ha risposto di no. I loro sistemi di comunicazione ci sono sconosciuti, ma cionondimeno essi ci ascoltano. Suppongo che essi comunichino per mezzo di raggi luminosi o magnetici”.
- Ha delle foto o una prova tangibile?
“Non avevo la macchina fotografica con me. Non ho pensato di chiedere il permesso di portar via qualcosa. Fu una tale sorpresa, un tale colpo, che non ho pensato a nulla”.
- E il suo interrogatorio di tre ore da parte dell’Air Force?
“Mi hanno chiesto un resoconto circostanziato. Ho raccontato loro esattamente quello che era successo. Erano i primi ad ascoltarmi. Mi dissero di non parlare in pubblico di taluni dettagli. Per quanto mi riguarda, tutto poteva essere rivelato. Non vedo perché si debba nascondere qualcosa. Mi si chiese di non dire che gli extraterrestri non avevano denaro, di non rivelare niente sul genere e le dimensioni dell’apparecchio, perché quello avrebbe potuto voler dire, agli occhi del pubblico, che l’Air Force non fa il suo dovere. Ho risposto loro che non c’era alcun motivo di preoccupazione”.
- L’Air Force ha divulgato informazioni che confermano o che riguardano la sua esperienza?
“Si, all’epoca. Ma io non insisto. Non tento più di provare quello che è accaduto. Mi si crea o no, m’importa poco. Ma io dico che l’Air Force ci crede. Ha indagato parecchie volte nella regione. Gli inquirenti vennero qui poco tempo dopo l’avvenimento ed ebbero la prova assoluta che un apparecchio era atterrato già prima del fatto e dopo”.
- Ci sono ancora altri dettagli che l’Air Force voleva mettere a tacere?
“Si, qualcuno: i mezzi di comunicazione e la fonte d’energia. Anche il nome dell’astronauta. Mi hanno detto di non ripetere mai quel nome, perché non voleva dir niente. L’astronauta mi aveva detto: “Può chiamarmi Xeno”. Questo non era necessariamente il suo nome. L’ho chiamato Zeno o Zeeno, ma era proprio Xeno. Secondo il dizionario vuol dire “straniero”.
- Si metteranno ancora in contatto con lei?
“Si, siamo d’accordo. Ma il prossimo incontro sarà per mia, non per loro scelta. Il segnale sarà dato dall’esecuzione di un atto convenuto tra noi. Essi mi osserveranno”.
- Qual è il senso di questo incontro?
“Per me ha molto più significato di una semplice visita di extraterrestri. Mi sono sentito trasformato, elevato molto al di sopra di tutto quello che prima avrei potuto immaginare”.
Commento
Fantasia o realtà? Ecco la domanda. Se un avvenimento identico o quasi non fosse stato già riferito da parecchi testimoni viventi agli antipodi del nostro pianeta, si sarebbe inclini a chiudere la pratica e ad archiviare la faccenda. Quelli che hanno vissuto tali avventure sono quasi sempre refrattari alla divulgazione. Bisogna aspettare dei mesi, spesso degli anni, perché le lingue si sciolgano. Niente di più comprensibile. Nessuno desidera attirarsi i lazzi del pubblico o rischiare di perdere una posizione raggiunta a caro prezzo. Uno dei fatti più significativi in favore della veridicità della storia è l’atteggiamento dell’Air Force, molto contrariata dall’apparizione di questi apparecchi sconosciuti. Da una parte l’Air Force nega il fenomeno qualunque esso sia, dall’altra essa si vede costretta a indagare conservando nello stesso tempo l’anonimato e il segreto. E’ una situazione impossibile. Ma il fatto che sia provato che l’Air Force ha sparato su degli apparecchi (non è un segreto per nessuno negli Stati Uniti) conferisce al racconto il carattere di un’avventura realmente vissuta.
(Dal volume:"Contatti UFO"; R. J. Perrin -De Vecchi Ed.)