What did we say (since a long time ago)?!?
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Tracce di acqua su Marte. Ce ne dà conto una nuova mappa realizzata a partire dai dati raccolti nel corso di un decennio dal Mars Express di Esa e dal Mars Reconnaissance Orbiter della Nasa. Entrambe le sonde sono in orbita intorno al pianeta rosso e grazie alle informazioni che ci hanno trasmesso negli anni – quella europea, ad esempio, è stata lanciata il 2 giugno 2003 dal Cosmodromo di Baikonur in Kazakistan – gli scienziati hanno creato la mappa più completa di cui disponiamo relativa ai giacimenti minerari marziani.
Si tratta di depositi di minerali idratati, quelli che in un passato remotissimo sono stati alterati dalla presenza dell'acqua, come le argille e i sali. Sapevamo che ce n’erano e le abbiamo anche osservate abbastanza da vicino grazie al rover Curiosity. Tuttavia, come spiega Science-alert, una mappa più ampia di dove poterle trovare ci concede “un’immagine più comprensiva della storia dell’acqua su Marte e ci aiuterà a pianificare future esplorazioni di un pianeta oggi asciutto e polveroso”. Ma che in passato era sensibilmente diverso: secondo la mappa, infatti, ovunque ci si diriga su Marte si scova qualcosa di interessante.
Il nuovo lavoro, guidato dallo scienziato planetario John Carter dell'Università di Parigi-Saclay e dell'università di Aix Marsiglia in Francia, ha identificato più depositi e aree d’interesse di minerali acquosi di quante se ne conoscessero. Se fino a dieci anni fa conoscevamo un migliaio di affioramenti, come spiega Media Inaf «la nuova mappa ha ribaltato la situazione, rivelando centinaia di migliaia di tali aree nelle parti più vecchie del pianeta». L’acqua ha insomma svolto un ruolo essenziale nel plasmare la geologia di un pianeta che oggi ci appare davvero così distante da un posto ricco d’acqua.
Ma la presenza dell’acqua fu persistente o episodica, limitata a una fase della storia del pianeta? Non lo sappiamo ancora perché il quadro risultante dalla nuova mappa è particolarmente complesso, fra sali che sembrano più antichi di alcune argille e zone argillose in cui vi è appunto una stretta mescolanza dei due minerali. Di certo la fase umida fu più lunga di quanto si immaginasse fino a pochi anni fa. “L’evoluzione da molta acqua a niente acqua non è così netta come pensavamo. L’acqua non si è fermata in una notte - spiega infatti Carter - vediamo un’enorme diversità di contesti geologici, così che nessun processo o semplice sequenza temporale può spiegare l’evoluzione della mineralogia di Marte. Questo è il primo risultato del nostro studio. Il secondo è che se si escludono i processi vitali sulla Terra, Marte mostra una diversità di mineralogia in contesti geologici proprio come succede sulla Terra”.
Un altro articolo, pubblicato come la mappa sulla rivista Icarus e con prima firmataria Lucie Riu dell’Institute of Space and Astronautical Science (Isas), Japanese Aerospace eXploration Agency (Jaxa), in Giappone, entra invece nel vivo della pianificazione delle missioni future su Marte sempre sulla base della stessa mappa. In particolare, per l’individuazione dei siti di atterraggio: i minerali acquosi contengono ancora molecole d’acqua e insieme al ghiaccio d’acqua sepolto possono costituire risorse da utilizzare in loco, magari per i futuri insediamenti umani. Intanto, prima delle prospettive fantascientifiche, si tratta di minerali molto interessanti da studiare: basti pensare al cratere di Jezero, dove lo scorso anno è atterrato il rover Perseverance, sito di Oxia Planum, dove atterrerà il rover dell’Esa Rosalind Franklin, costituito di antiche argille piene di minerali ricchi di ferro e magnesio di smectite e vermiculite.
Per anni si è pensato a Marte come a un pianeta morto, spento, semplicemente sferzato dal vento solare per miliardi di anni, fino a che non siamo arrivati ad esplorare la sue superficie e non abbiamo notato strani dettagli, sempre più evidenti, di una qualche attività.
Negli ultimi anni molte teorie affermano che il Pianeta Rosso sia ancora attivo e geologicamente vivo, scosso da terremoti e attraversato da tracce di magma "recente".
Ora una nuova ricerca dice che nell'enorme pianura chiamata Elysium Planitia un colossale pennacchio di convezione largo 4.000 chilometri nel mantello marziano potrebbe spingere il magma fuso fino alla superficie.
"I nostri risultati dimostrano che l'interno di Marte è geodinamicamente attivo oggi", scrivono i geofisici planetari Adrien Broquet e Jeffrey Andrews-Hanna dell'Università dell'Arizona.
"Sebbene Marte sia più piccolo della Terra, si prevede la formazione di teste di pennacchio altrettanto grandi data la minore gravità e la maggiore viscosità del mantello marziano", hanno spiegato.
"Il centro della testa del pennacchio più adatto, basato esclusivamente sui dati di gravità e topografia, si trova esattamente al centro del Cerberus Fossae, dove sono stati localizzati sia il recente vulcanismo che la maggior parte dei terremoti".
Questo sistema di fessure è stato osservato dai satelliti e ha rivelato prove di depositi superficiali vulcanici di 50.000 anni. Ci sono state alcune altre osservazioni strane. Il campo gravitazionale locale dell'Elysium Planitia, ad esempio, è insolitamente forte, coerente con una sorta di attività sotterranea.
Così Broquet e Andres Hanna hanno raccolto dati topografici, gravitazionali, geologici e sismici e si sono messi alla ricerca di un modello adatto.
"L'attività in corso del pennacchio dimostra che Marte non è solo sismicamente e vulcanicamente attivo oggi, ma possiede anche un interno geodinamicamente attivo", hanno scritto i due ricercatori.
"Un pennacchio sotto Elysium Planitia indica anche che i flussi vulcanici superficiali e l'attività sismica non sono eventi isolati, ma parte di un sistema regionale di lunga durata, sostenuto attivamente, con implicazioni per la longevità e il potenziale astrobiologico degli ambienti abitabili del sottosuolo".
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