True Planets

5 Dicembre 2008

Oltre la Nebbia (parte prima) – del Dr Paolo C. Fienga

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“…La premessa (metodo)logica che dovrebbe informare il lavoro di qualsiasi Ricercatore che operi nel Campo delle Scienze Planetarie (in generale) ed in quello delle Scienze di Frontiera (in particolare) è molto semplice e la si può esprimere in questi termini: “Il volume di informazioni conosciute, laddove ragguagliato al volume di informazioni sconosciute, costituisce sempre un volume trascurabile…”

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Premessa

E’ un fatto: la NASA osserva, con rinnovato interesse, la Luna e poi, forse considerando l’antica Selene alla stregua di un “trampolino di lancio”, si proietta verso Marte.

L’ESA, per non essere da meno (ed agendo come una docile “Compagna Europea” della NASA), fa la stessa cosa.

Le Potenze Spaziali “emergenti” (Giappone, Cina ed India) hanno deciso che è giunto il tempo di guardare la Luna sempre più da vicino e la Russia ritiene che il ritorno su Marte (l’Agenzia Spaziale Russa, per amor di chiarezza, si sta rivolgendo a Phobos, soprattutto) sia “essenziale”.

E questo è lo “Scenario”, la Big Picture, come dicono in America. Uno scenario che, se non fosse clamorosamente ambiguo e, per certi versi, raccapricciante (per esempio: cosa ci fa l’India, con la sua perenne miseria e la sua atavica fame – senza considerare i dissidi interni ed esterni che la lacerano e svuotano di energie e denaro da decenni – nella “Corsa allo Luna”?!? Come mai la Russia ha deciso di guardare – ancora una volta – verso Phobos?), potrebbe addirittura suggerire rinnovati entusiasmi ed energie per i Cultori dello Spazio e dell’Esplorazione del Sistema Solare.

E non dimentichiamo gli Appassionati, i Ricercatori Indipendenti (Tradizionali e “di Frontiera”): anche loro, infatti – e forse da sempre… -, osservano con estremo interesse Marte e con curiosità (blanda, a dire il vero) la Luna.

Insomma: le prime “risposte”, da parte degli Scienziati Convenzionali come da parte dei Ricercatori e Scienziati “Borderline” (e senza dimenticare, appunto, gli Appassionati ed Amateurs dell’Universo e dell’Esplorazione Spaziale) sono attese dall’esplorazione, sempre più “Invasiva”, della Luna e di Marte.

Ma noi, oggi, abbiamo deciso di fare un passo ulteriore. Abbiamo deciso di superare le Colonne d’Ercole del Sistema Solare (e cioè la Cintura Principale degli Asteroidi) e di immergerci nello Spazio Profondo: oltre Giove e le sue innumerevoli lune.

Oggi, come Gruppo di Ricerca Lunar Explorer Italia, abbiamo deciso di raggiungere il Gigante Anellato (Saturno) e di dare un’occhiata ad una delle sue lune più affascinanti e misteriose: Titano, la Luna Nebbiosa.

(nota: perdonateci se conteniamo la prima parte della nostra Monografia su Titano in poche pagine, ma questa lettura vuole essere una semplice fonte di divulgazione per Appassionati e non ha l’ambizione di costituire la versione embrionale di un Trattato; siamo consapevoli che quanto scritto qui rappresenta solo una minima parte delle informazioni disponibili e siamo altresì consapevoli del fatto che, vista la rapidità nell’acquisizione di nuove conoscenze su questo Mondo, alcune – o forse molte – delle informazioni contenute nell’articolo saranno, nel giro di poco tempo – forse mesi, forse anni -, riviste, corrette e, come di regola accade, in parte confermate ed in parte modificate o eliminate in quanto erronee)

Cenni Generali ed Osservazione da Terra

Attraverso l’oculare di un (anche) modesto telescopio, Titano, il più grande satellite naturale del pianeta Saturno, appare come un corpo puntiforme che splende debolmente di un delicato color giallo-pallido.
Si tratta di un oggetto celeste reso affascinante dalla sua posizione – apparentemente assai prossima – rispetto al Gigante Anellato (la sua distanza angolare da Saturno non supera mai i 20 raggi saturniani), ma certo non si può dire che Titano, in sé, riesca a suggerire particolari interessi e curiosità visive, anzi: nessun rilievo superficiale di questo Mondo, infatti, risulta discernibile nelle osservazioni effettuate da Terra (nemmeno usando le più sofisticate ed avanzate tecniche fotografiche) e, come abbiamo appreso grazie alle immagini ottenute dalle Sonde Voyager prima e dall’Orbiter Cassini poi, anche da distanza (relativamente) ravvicinata questo mondo risulta alquanto indecifrabile (anche se occorre dire che, già dalla metà degli Anni ’70, l’effettuazione di una serie di osservazioni ripetute di Titano – effettuate usando i più grandi telescopi terrestri al tempo disponibili – aveva, peraltro correttamente, suggerito agli Astronomi una sostanziale NON uniformità, in termini di albedo, della sua superficie la quale venne ben interpretata, sin d’allora, come indice della possibile presenza di aree superficiali sensibilmente disomogenee ed equiparabili a continenti).

Titano.jpg

La superficie di Titano, come ormai è ampiamente risaputo, è perennemente nascosta (se non altro allorché la si osserva muovendosi nello spettro della Luce Visibile) da un’atmosfera densa e spessa la quale lo avvolge in perpetuo ed in perpetuo lo nasconde – e, forse ed in qualche modo, lo “protegge” – dal gelo dello Spazio Esterno e dalla costante pioggia di detriti e radiazioni cosmiche che invece investe e travolge la quasi totalità di tutti gli altri Corpi celesti rocciosi che risiedono oltre la Fascia Principale degli Asteroidi (la cosiddetta Main Asteroid Belt), nel Regno dei “Giganti Gassosi” (e cioè Giove, Saturno, Urano e Nettuno).

La magnitudine apparente di Titano (ossìa la luminosità di questo Corpo Celeste, così come rilevata dal punto di osservazione – e cioè la Terra) oscilla fra +7,9 e +8,7. Esso, sebbene invisibile ad occhio nudo, può essere agevolmente individuato sia attraverso piccoli telescopi (si suggeriscono i rifrattori con diametro uguale o maggiore ai 7 cm), sia mediante binocoli professionali.

Titano, quasi per rendere onore al suo stesso nome, è uno dei Corpi Celesti “rocciosi” più massicci dell’intero Sistema Solare: le sue dimensioni, infatti, superano quelle di Mercurio e di Plutone (rectius: del “dwarf-planet”, o “pianeta-nano”, Plutone) e lo pongono, con i suoi 5150 Km circa di diametro, al secondo posto della graduatoria dimensionale dei Satelliti Naturali del Sistema Solare (e, per la precisione, alle spalle della Luna Gioviana Ganimede).

Titano venne individuato il 25 marzo dell’AD 1655 dall’astronomo olandese Christiaan Huygens e la scoperta fu sensazionale, poiché si trattava del primo satellite naturale di un Corpo Celeste “esterno” ad essere individuato dopo i satelliti di Giove.
Huygens lo denominò, semplicemente, come Luna Saturni (“la Luna di Saturno”), nell’opera De Saturni Luna observatio nova, datata AD 1656.

Per realizzare la sua epocale scoperta, Christiaan Huygens impiegò un telescopio concepito e costruito in collaborazione con suo fratello, Constantijn Huygens ed oggi, di quel telescopio, ci resta solo una componente: una lente.

Una lente del diametro di 57 mm e che reca sul bordo la dicitura “X 3 FEBR. MDCLV“: si tratta della lunghezza focale e della data di completamento del lavoro (e cioè la “lucidatura” della lente stessa): il 3 Febbraio dell’AD 1655.
Su di essa si leggono altresì alcuni versi di Ovidio, “Admovere Oculis Distantia Sidera Nostris“. Un pizzico di romanticismo? No, solo la porzione di un anagramma: un semplice gioco enigmistico (molto comune in quei tempi) che riportava alcuni dettagli della sua scoperta (data inclusa).

Decodificato e tradotto l’anagramma di Huygens recita “Una luna orbita intorno a Saturno in 16 giorni e 4 ore”. Oggi, però, sappiamo che il periodo orbitale di Titano è pari a poco meno di 16 giorni. Chissà…Sarà stato Titano a rallentare oppure fu il (comunque) Grande Christiaan Huygens a sbagliare i conti?…

Scherzi a parte, quando, più tardi, Giovanni Domenico Cassini scoprì quattro nuovi satelliti di Saturno, li chiamò Teti, Dione, Rea e Giapeto (complessivamente noti come Satelliti Lodicei, in sostanziale contrapposizione ai quattro Satelliti Maggiori (o Medicei) di Giove – Io, Europa, Ganimede e Callisto).

Dopo il battesimo dei Satelliti Lodicei, ed in ossequio ad una nascente tradizione, anche la Luna Saturni iniziò ad essere designata con un nome proprio il quale, nell’uso comune iniziale, fu Saturno Sextus (perché la Luna Saturni, se non altro apparentemente, si posizionava al sesto posto in ordine di distanza dal pianeta genitore). Il nome “Titano” venne suggerito solo verso la metà del XIX Secolo (esattamente nell’AD 1847) dall’Astronomo John Herschel (figlio del più celebre William Herschel), nella sua pubblicazione intitolata Risultati delle osservazioni astronomiche condotte presso il Capo di Buona Speranza.

Titano in Osservazione Ravvicinata: Meteorologia e Geografia Essenziale

Le caratteristiche superficiali di Titano – così come emerse attraverso la sua osservazione ravvicinata realizzata ad opera della Sonda Robotizzata “Cassini” (un’osservazione effettuata sia mediante delle fotocamere tradizionali, sia usando un apposito strumento capace di “perforare” la coltre di nebbia che lo avvolge, e cioè il Visual and Infrared Mapping Spectrometer) – le possiamo schematicamente riassumere in questo modo:

1) le formazioni nuvolose tradizionali (bianche e costituite, principalmente, da vapore acqueo) sono infrequenti nei Cieli di Titano, se non altro sopra le sue Regioni Equatoriali e sino alle medie latitudini. Attenzione però! Abbiamo detto “infrequenti”: NON rarissime o del tutto assenti! Alcune immagini delle Regioni Equatoriali di Titano, infatti, hanno evidenziato la presenza, in più di un’occasione e molto al di sotto della coltre di nebbia che avvolge questo mondo, delle piccole formazioni nuvolose bianche che ricordano i cirri, di terrestre memoria.

Titan-PIA08736.jpg 

2) la superficie di Titano, in termini di albedo, ci mostra un grande contrasto fra due tipologie dominanti di terreno: uno, decisamente luminoso, che coinvolge circa i due/terzi del Pianeta (e la zona più luminosa in assoluto deve essere rinvenuta nel rilievo – forse un cratere d’impatto relativamente recente – conosciuto come Shikoku Facula) ed un altro, molto più scuro, che pare essere concentrato nelle regioni equatoriali (ad esempio, la Regione peri-equatoriale di Shangri-la è ad oggi considerata come la più scura di Titano);
3) le Regioni “luminose” di Titano sono sostanzialmente due: Tui Regio – situata circa a 25° di Latitudine Sud e 230° di Longitudine Est – ed Hotei Arcus – che si trova intorno ai 20° di Latitudine Sud e 280° di Longitudine Est).
Queste regioni si ritiene che sìano caratterizzate dalla presenza di giganteschi depositi superficiali di materiali aventi origine vulcanica, con inclusione di vaste aree ricoperte da ghiaccio d’acqua e biossido di carbonio.
Da notare che i margini occidentali di Tui Regio mostrano – attraverso osservazioni effettuate mediante impulsi radio e, visivamente, nella banda dell’IR – dei rilievi del tutto simili a colate laviche i quali sono del tutto coerenti con l’esistenza – se non altro in passato – di fenomeni eruttivi tradizionali.
3) sempre da un punto di vista meteorologico, nelle Regioni Sud-Polari di Titano è osservabile un complesso e persistente sistema nuvoloso “tradizionale”, costituito da enormi cumuli-nembi, il quale, ciclicamente (diciamo in corrispondenza dell’Estate Titaniana), sembra aumentare il proprio volume e la propria luminosità;
4) i crateri da impatto, comuni nella quasi totalità delle Lune Rocciose di Saturno (ad eccezione di Encelado, la cui superficie è soggetta a costanti rinnovamenti – probabilmente grazie all’attività dei super-geysers presenti nelle sue regioni Sud-Polari i quali eruttano ghiaccio e fango costantemente), sono quasi del tutto assenti.
Questa circostanza, così come detto a proposito di Encelado, è segno evidente non solo della presenza di un’atmosfera adeguatamente protettiva, ma anche di una attività geodinamica superficiale che deve essere ancora consistente.
Recentemente sono stati comunque individuati due grandi bacini d’impatto – uno, denominato Sinlap (e che potete vedere nel frame che segue) – il quale si trova intorno alle coordinate 13° di Latitudine Nord e 344° di Longitudine Est, ed un altro, ancora senza nome, il quale si trova nella Dilmun Regio di Titano, a circa 26° di Latitudine Nord e 160° di Longitudine Est, un migliaio di chilometri più a Nord del Landing Site della Huygens Probe.

Sinlap.jpg
4) sempre grazie a riprese effettuate dall’Orbiter Cassini nella Banda dell’IR (ed in momenti in cui la coltre di “smog” che avvolge Titano pareva diradarsi e lasciare un minimo di spazio per la realizzazione di osservazioni più profonde), sono state individuate altre due grandi Regioni (queste ultime equiparabili a dei Continenti veri e propri) che caratterizzano rispettivamente, l’Emisfero Nord di Titano (dove troviamo la Regione di Senkyo) e l’Emisfero Sud (dove individuiamo, invece, la Regione di Mezzoramia).

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Caption per l’immagine di cui sopra:”Straining to make out the surface of Titan through its murky atmosphere, the Cassini spacecraft’s wide angle camera manages to exploit one of the infrared spectral windows where the particulate smog is transparent enough for a peek. The Senkyo region is visible in the north, while Mezzoramia lies to the south in this view of Titan. The image was taken with the Cassini spacecraft wide-angle camera using a spectral filter sensitive to wavelengths of infrared light centered at 939 nanometers. This image was taken on Jan. 29, 2007 from a distance of about 79.000 Km (approx. 49.000 miles) from Titan. Image scale is roughly 5 Km (about 3 miles) per pixel“.

Il Continente più “Luminoso” di Titano, invece, è stato battezzato Xanadu.

L’origine e la geografia di dettaglio di Xanadu (luminosa almeno tanto quanto la Adiri Regio – che potete vedere nel frame che segue), al pari della Storia Geologica delle altre maggiori Regioni di Titano, costituisce ancora un mistero.

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La geografia di Titano, ovviamente, è ancora ben lungi dal potersi dire “completa e definitiva”, ma noi riteniamo che sia comunque opportuno – se non altro per ragioni di completezza – ricordare qualche altra Regione (diciamo “minore”) che è già stata battezzata dagli Scienziati.

Ecco quindi un’immagine di Titano che indica, accanto alla Senkyo Regio, altre tre interessanti Regioni: Aaru, Fensal ed Aztlan Regio.

Titan-PIA08231.jpg

Titano orbita intorno a Saturno in 15 giorni e 22 ore. Come la Luna ed al pari di moltissimi altri satelliti naturali dei Giganti Gassosi, il suo periodo orbitale è identico al periodo di rotazione (cosiddetta Fase Bloccata) e questa circostanza fa sì che Titano, essendo in rotazione sincrona con Saturno, gli mostri sempre la medesima “faccia”.

L’orbita di Titano presenta un’eccentricità di 0,0288 ed un’inclinazione di 0,348° rispetto al Piano Equatoriale di Saturno.
Titano, inoltre, si trova in Risonanza Orbitale di 3 a 4 (3:4) con il piccolo ed irregolare Iperione (Hyperion); per Risonanza Orbitale deve intendersi che, per ogni tre orbite complete di Titano intorno a Saturno, Iperione ne compie quattro.
Non siamo in grado di dire per quali motivi esista una correlazione in risonanza fra l’orbita di Titano e quella di Iperione, ma l’ipotesi più probabile è che Iperione sia migrato – nelle ere e grazie ad una serie di interazioni di tipo mareale – da un’orbita radicalmente caotica a quella attuale.
Un’evidenza indiretta che avvalora questa ipotesi può essere rinvenuta nel moto orbitale attuale di Iperione il quale è ancora caotico (la NASA stessa definisce Iperione come “The Tumbling Moon” ossìa “La Luna Rotolante”).

Titano è stato a lungo ritenuto il satellite naturale più grande dell’intero Sistema Solare ma, in verità, tale circostanza (come sapete erronea) è derivata dalle prime osservazioni di questo Mondo le quali, ovviamente effettuate da Terra, sono state disturbate dalla presenza, intorno ad esso, di una densissima atmosfera la quale ha causato una stima per eccesso delle sue dimensioni reali che, invece e come detto in precedenza, lo pongono alle spalle di Ganimede.

Le proprietà fisiche di Titano si ritiene che sìano simili a quelle di Ganimede e Callisto (satelliti naturali di Giove) nonchè a quelle di Tritone (satellite naturale maggiore di Nettuno) e Plutone.
La struttura interna di Titano è probabilmente stratificata, con un nucleo roccioso dal diametro di circa 3400 Km, circondato da strati composti da diverse forme cristalline del ghiaccio e da altri elementi.
L’interno di Titano potrebbe (ragionevolmente) essere ancora caldo e, fra il nucleo roccioso e la crosta gelata, si ritiene che possa esistere uno strato liquido composto da acqua ed ammoniaca (un elemento, quest’ultimo, relativamente comune per tutti i Corpi Celesti trans-Marziani).

Alcune prove indirette a sostegno di questa ipotesi sono state apportate dalla sonda Cassini (nella specie, si parla di bassa riflettenza delle “ELF Radio-waves” – Onde Radio a Frequenza Estremamente Bassa – Extremely Low Frequency/ELF).
Si ritiene, infatti, che dette onde potrebbero venir riflesse dalla superficie di separazione esistente tra uno strato totalmente solido – forse rocce, detriti e ghiaccio – ed uno liquido – un oceano? – presente al di sotto della superficie. Inoltre, dall’effettuazione di un confronto fra le immagini raccolte nell’ottobre del 2005 ed il maggio 2007, è pure apparsa evidente una sensibile traslazione di una porzione della crosta di Titano la quale potrebbe essere accaduta non solo in ragione di attività geologiche classiche, ma anche a causa (!) dei violentissimi venti atmosferici.
Se questa traslazione risultasse confermata, l’ipotesi della presenza di uno strato liquido all’interno del pianeta sul quale “galleggerebbe” (letteralmente) il leggero strato solido superficiale verrebbe fortemente sostanziata.

(Changes in the spin rate of Saturn’s moon Titan suggest that an ocean of liquid water lies beneath its icy surface, a new study reports.
The finding bolsters the possibility that the moon might foster life.
Titan’s low density suggests that it is composed of a combination of water and rock.
During the moon’s early days, heat from its formation and the decay of radioactive material should have melted much of this water to create an ocean.
Likely, much of said ocean would have since frozen, but scientists suspect a liquid layer up to 300 Km thick persists beneath an ice crust, probably aided by ammonia, which acts as an antifreeze. Hard evidence for such an ocean has been (and will be) difficult to come by, however.
Apparent radio echoes observed by the Huygens Probe as it landed on the moon’s surface in 2005 might be due to radio waves reflecting off the top of an ocean. But it’s possible they’re simply an instrument error caused by motion of the lander’s parachute.
Now, slight variations in Titan’s rotation rate detected by the Cassini Spacecraft have provided new evidence for an ocean, say Ralph Lorenz of the Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory in Laurel, Maryland, US and colleagues.
Titan is close enough to Saturn that Saturn’s gravity should distort the moon’s shape, causing internal friction that slows down its rotation.
This slowing continues until the moon rotates exactly once per orbit, keeping one face forever locked on the planet.
But when Cassini’s radar tracked surface features on the moon, scientists found evidence that Titan rocks slightly due to tiny shifts in its rotation rate. Currently, Titan spins an extra 0.36° over the course of a year beyond what it would if it were in perfect sync with the moon. The moon’s rotation rate also appears to be slowly increasing.
The rocking effect was actually predicted in 2005 as a result of changes in the direction of winds in Titan’s massive atmosphere over the course of its 29,5-year orbit around the Sun.
A similar effect is known to vary Earth’s rotation rate.
Importantly, the rocking is easier to produce if Titan’s surface is simply a shell that floats on top of an ocean.
The rotation of the relatively lightweight shell would be easily disturbed by changing winds. Alternatively, it would be much more difficult for winds to change Titan’s rotation if the moon were solid from surface to core.
The observations weigh “in favour of a liquid layer, but it is not a definitive proof”, Gabriel Tobie of the Université de Nantes in France, told New Scientist.
Tobie and Christophe Sotin of NASA’s Jet Propulsion Laboratory (JPL) in Pasadena, California, US, say changes in the orientation of the moon’s rotation axis over thousands of years could also explain the observed shift.
But Bryan Stiles of JPL, who is a member of Lorenz’s team, disagrees.
He says the existing data “is sufficient to distinguish between movement of the Pole and changes in spin rate” and that the team has indeed detected changes in spin rate.
Tobie says further observations could help settle the matter. If the spin rate changes on a timescale of a few years, that would bolster the case that the variations are produced by seasonal wind changes, rather than very long-term changes in the direction of Titan’s rotation axis.
If Titan has an ocean beneath its surface, could life be present there? Possibly. Tobie says Titan may have provided especially good conditions for the development of life. Early in its history, liquid water may have been exposed to the surface, allowing complex carbon-containing molecules from the atmosphere to mix with the water.
“Organic [such as carbon-based] chemistry and warm water provide very good conditions for life to arise”, Tobie says, although he adds that it might have been difficult for this life to survive after the ocean was cut off from the atmosphere by ice.
Other icy moons, including Jupiter’s Europa and Saturn’s Enceladus, may also harbour liquid water, making them potentially prime locations for life in the Solar System
).

Sebbene la composizione chimica di Titano, in accordo alle più recenti verifiche, pare essere sostanzialmente analoga a quella degli altri satelliti naturali di Saturno, Titano presenta una densità leggermente maggiore, verosimilmente a causa di un fenomeno noto come Compressione Gravitazionale.

Titano è uno dei quattro satelliti naturali esistenti nel Sistema Solare a possedere un’atmosfera (assieme a Tritone e, probabilmente, ad Ariel ed Encelado), ma è l’unico che ne possiede una così particolarmente sviluppata.

La densa e perenne foschia che avvolge Titano, infatti ed in accordo a quanto speculato da alcuni scienziati, potrebbe contribuire a sostenere un effetto serra inverso su questo Corpo Celeste poiché essa, da un lato, riflettendo un’elevata percentuale della luce (e del relativo calore) in arrivo dal Sole ne aumenta l’albedo visuale, ma dall’altro – e proprio in virtù di quest’ultimo fenomeno –, riducendone ai minimi termini l’assorbimento (di luce e calore, che comunque sono già scarsi in sé), concorre attivamente e decisivamente a mantenerne gelida l’atmosfera e la temperatura superficiale.

L’atmosfera di Titano é composta, per il 98%, da Azoto e, per il rimanente, da Metano (con tracce di altri gas).
Grazie alle osservazioni compiute dall’Orbiter Cassini è stato possibile rilevare che la superficie di Titano è relativamente liscia, con pochi rilievi significativi e pochissimi crateri da impatto (su tutti, il Cratere Sinlap, già menzionato in precedenza).
Per quanto attiene le altre zone scure (rectius: ad albedo bassissima) presenti su Titano, si ipotizza che esse possano essere dei grandi laghi di metano o di etano.

Titan-PIA09180.jpg
L’ipotesi della presenza di fiumi, laghi e/o – addirittura – piccoli mari di metano, formulata da tempo dagli scienziati, ha recentemente trovato conferma nelle analisi dei dati raccolti da Cassini i quali hanno permesso di identificare effettivamente almeno un lago contenente (sembra) dell’etano liquido. Questa scoperta conferma la teoria che sul satellite di Saturno sia presente un Ciclo Idrologico aperto e basato sul metano, analogamente a quanto accade sulla Terra (solo che il Ciclo Idrologico terrestre è basato sull’acqua…).

Sempre grazie alle immagini di Cassini sono stati individuati indizi consistenti relativi alla verificazione di fenomeni di evaporazione, piogge e formazione di canali di drenaggio naturali scavati da fluidi.

Da non dimenticare, poi, è l’esistenza di due possibili crio-vulcani (o “vulcani ad eruzioni fredde”: una sorta di geysers di grandi dimensioni) noti come Ganesa Macula (si veda l’immagine che segue) e Guabonito, nella Xanadu Regio (anche se, per Guabonito, esistono ancora dei seri dubbi sulla sua reale natura – caldera criovulcanica o residui di un cratere d’impatto?).

Titan-PIA09176.jpg

Titano – tanto per rammentare un pizzico di Storia della sua Esplorazione – venne sorvolato per la prima volta dalle sonde automatiche statunitensi Voyager 1 (la cui traiettoria fu modificata per favorire un passaggio ravvicinato) e Voyager 2.
Sfortunatamente la Sonda Voyager 1 non era provvista di alcuno strumento in grado di “vedere” attraverso la densa atmosfera del pianeta (una circostanza, questa, che non era stata assolutamente prevista a Terra); solo molti anni più tardi, mediante l’adozione di tecniche di manipolazione intensiva delle immagini riprese dalla sonda hanno permesso di ricavare quelle che sono, a tutti gli effetti, le prime fotografie mai scattate della menzionata Regione di Xanadu.

In seguito, quando la Sonda Voyager 2 raggiunse il Sistema di Saturno, apparve subito chiaro al Controllo Missione che un possibile cambio di traiettoria per favorire un incontro ravvicinato con Titano avrebbe impedito la prosecuzione del viaggio verso Urano e Nettuno e quindi, ragionevolmente, la NASA decise di rinunciare al “detour”, e la sonda non fu impiegata per uno studio intensivo di Titano.

In realtà, e come appare ormai del tutto ovvio, la considerevole mole di dati attualmente raccolti su Titano è quasi interamente dovuta alla Missione NASA/ESA/ASI Cassini-Huygens. Questa sonda, infatti, ha raggiunto Saturno il 1mo luglio dell’AD 2004 ed ha quindi avviato le prime attività di mappatura della superficie di Titano attraverso l’uso sia di fotocamere, sia di strumenti radar.

Il primo sorvolo/passaggio ravvicinato (o, tecnicamente, Fly-By) diretto del satellite è avvenuto il 26 ottobre 2004, ad una distanza record di appena 1200 Km dalla sua superficie.

Titano dalla Superficie

Nel Gennaio 2005, come molti sanno, venne compiuto un primo e storico passo verso l’esplorazione “profonda” di Titano: dalla Sonda-madre Cassini, infatti, fu sganciato il modulo Huygens il quale, agendo su sola base inerziale (e cioè procedendo nello spazio senza l’ausilio di propulsori), arrivò a “tuffarsi” nella gelida atmosfera di Titano (il giorno 14 gennaio 2005) e poi, dopo una lunga discesa attraverso le sue nebbie arancio-marroni (una discesa durata qualcosa come 2 ore e 27 minuti!), ne raggiunse felicemente la superficie.

Da lì, poi, questa piccola probe trasmesso dati (ufficialmente) per circa un’ora e mezza.

Il Modulo Remoto Huygens, al contrario di quanto temuto da molti scienziati, è riuscito ad evitare il landing su una superficie liquida e, dopo aver visto, fotografato e “sfiorato” una fitta rete di canali e di altri rilievi superficiali scuri e non identificabili con certezza (forse dei laghetti), si è delicatamente posato su quello che sembra essere il greto asciutto di un torrente.
Rocce e cristalli che mostrano chiari segni di erosione da fluidi sono ben visibili tutto intorno alla Sonda e poi, scrutando l’orizzonte più lontano, il profilo scuro ed ovattato di rilievi distanti qualche centinaio di metri sembra affacciarsi alla vista.

Titan-PIA08115.jpg 

La consistenza apparente (e cioè sulla base dell’osservazione visuale diretta) del suolo di Titano suggerisce quella della sabbia umida e ciò ha fatto pensare che il terreno su cui si è poggiata la Huygens Probe possa essere periodicamente (rectius: frequentemente) soggetto al passaggio di liquidi.

Ad onor del vero, le immagini della superficie di Titano ottenute da Huygens – certo suggestive, ma poche e di mediocre qualità – non ci sono state di grande aiuto per comprendere in maniera adeguata la realtà superficiale di Titano e quindi, per fornire al Lettore un’idea di quello che un ipotetico astronauta potrebbe realmente vedere in seguito ad un Landing sulla “Luna Nebbiosa”, abbiamo dovuto fare ricorso ad una serie di riflessioni e speculazioni.

Le Condizioni di Illuminazione 

Le fotografie ESA (ottenute sia durante la discesa della Sonda Huygens attraverso l’Atmosfera di Titano, sia dalla superficie di questo piccolo Mondo), al pari delle interpretazioni artistiche NASA (si guardi, ad esempio, il quadro che segue), ci danno l’impressione di un mondo, ancora una volta, alquanto luminoso…

 LandingonTitan.jpg

Ma questa interpretazione, a nostro parere, è estremamente improbabile, per non dire completamente erronea.
Che la superficie di Titano non giaccia nella più totale oscurità e che quindi essa riceva una certa illuminazione, è un fatto (pensate non solo e non tanto all’illuminazione solare, quanto all’illuminazione derivante da Saturno stesso); ma che questa illuminazione sia, mutatis mutandis, soltanto di poco superiore all’illuminazione del suolo che possiamo verificare noi stessi da Terra durante una notte di Luna piena, è pure un fatto che ci sembra difficile negare.

Il Sole, dalla superficie di Titano, non è altro che una stella: certo, una stella molto luminosa, ma comunque troppo flebile e lontana per garantire un’illuminazione superficiale che sia anche solo discreta ed equiparabile, per difetto, a quella di un tardo (e nebbioso) crepuscolo invernale terrestre.

E poi – appunto! – esiste il “fattore nebbia”.
Le nebbie di Titano non si trovano solo negli strati alti e medio alti della sua atmosfera, ma giungono sino al suolo, laddove però tendono, riteniamo piuttosto sensibilmente, a diradarsi (ma mantenendosi sempre in banchi).

Ora, provate ad immaginare un mattino terrestre in cui, anche dopo il sorgere del Sole, una fitta e densa nebbia scura copra il cielo e la superficie: che cosa si vedrebbe? E come lo si vedrebbe?
Quale sarebbe la Dominante Cromatica che avremmo davanti agli occhi?

Ebbene sulla Terra il paesaggio che avremmo davanti – esperienza ed osservazione alla mano – lo si può “disegnare” come una distesa ovattata ed indefinibile di color bianco-grigio. Il cielo apparirà anch’esso bianco-grigio, ma comunque scuro (se non altro a tratti, laddove la nebbia è più fitta).
Il Sole non sarà visibile e la superficie, nei pochi metri che avremmo a disposizione per osservarla, si caratterizzerà come scura e piatta. Tutto il mondo apparirà buio, indistinto, sostanzialmente piatto e gelido.

E pensate che siamo sulla Terra, “soltanto” a (circa) 150 Milioni di Km dalla nostra Stella…

Ma su Titano? Titano si trova ad una distanza superiore al MILIARDO di Km dal Sole (circa 1,4 miliardi di Km). Che condizioni medie di illuminazione si potranno mai ipotizzare su quel pianeta, anche in difetto di nebbia?
Scarse, ovviamente. Scarse, ma non nulle.

La nostra ipotesi, che poggia sull’esame delle immagini ricevute e sull’analisi dei dati disponibili, suggerisce che la superficie di Titano possa essere debolmente illuminata, nelle ore diurne, da una luce arancio-gialla, appena sufficiente a rischiarare il panorama.
E’ difficile, se non impossibile, ipotizzare un parallelo terrestre, ma la nostra opinione (informata) è che il giorno pieno di Titano possa ricordare un tardo crepuscolo invernale terrestre, con la variante della dominante cromatica che, per questa “Luna Nebbiosa”, non dovrebbe essere il bianco-grigio scuro, bensì l’arancio-marrone.

Non è neppure irragionevole supporre che la luminosità dell’ambiente Titaniano possa essere sensibilmente influenzata dalla presenza o meno, nel suo tetro ed opaco cielo, di Saturno.
Infatti, come la Luna piena, sulla Terra, è causa di notti chiare e luminose, così la presenza del disco pieno di Saturno nel cielo di Titano potrebbe essere fonte di un’illuminazione discreta della sua superficie.

Non è poi neppure da escludere, a nostro parere, che il cielo di Titano possa esprimere una sua propria luminescenza la quale potrebbe essere il frutto di reazioni chimiche e chimico-fisiche del tutto peculiari che occorrono negli strati alti della sua atmosfera; quegli strati più esterni laddove gli elementi che la formano iniziano non solo a rarefarsi e scomporsi ma anche ad interagire con l’ambiente esterno e, in particolare, con le radiazioni cosmiche in arrivo dallo Spazio Profondo.
Quali reazioni possano effettivamente avviarsi e concludersi in un simile contesto non ci è dato saperlo, ma la presenza di scariche e luminescenze nell’atmosfera di Titano (visibili anche allorchè vengono riprese alcune sue Regioni immerse nella notte) costituisce un dato facilmente verificabile nelle migliaia di immagini che l’Orbiter Cassini ci ha mandato e continua a mandare da oltre quattro anni.

Le considerazioni sull’illuminazione di Titano, poi, come Vi sarà agevole intuire, non sono finalizzate esclusivamente a fornire al Lettore un’idea della tipologia di paesaggio che un ipotetico visitatore terrestre potrebbe trovarsi davanti, ma sono anche rivolte allo sviluppo di una considerazione assolutamente essenziale per coloro che si domandano se sarebbe possibile supporre l’esistenza, su questo gelido mondo, di Forme Vitali Vegetali di tipo simil-terrestre.

Ebbene, la risposta è no. Decisamente no.
Il quantitativo di luce solare e di calore che raggiunge la superficie di Titano (la cui temperatura superficiale media, lo ricordiamo, si aggira, per quanto si sa e si suppone, intorno ai -175° Celsius) infatti, è talmente esiguo (diciamo pure “trascurabile”) da non permettere – se non altro sulla base di quelle che sono le nostre attuali conoscenze scientifiche – lo sviluppo di alcuna reazione assimilabile, ad esempio, alla fotosintesi.

Questo significa, tra le altre cose, che l’eventuale sviluppo di Forme Vitali indigene su Titano potrebbe derivare esclusivamente da interazioni chimiche o da processi esotici di carattere assolutamente locale. A quest’ultimo proposito, infine, si è detto e scritto che Titano, in fondo, rappresenta la versione “gelida” di una Terra Primordiale (un parallelo nato, probabilmente, dalla considerazione relativa al quantitativo di Nitrogeno esistente nell’atmosfera della Luna Nebbiosa nonché in riferimento a quella che sembra essere la morfologia attuale del pianeta in rapporto a quella che si suppone possa essere stata la morfologia della Terra Primordiale).
A nostro parere, però, la realtà è diversa e Titano potrebbe rappresentare, oggi, l’espressione di un Mondo “vivo e vitale” per nulla simile od assimilabile al nostro Pianeta Azzurro.

Un mondo che NON assomiglia affatto alla nostra Terra e che NON assomiglierà MAI alla nostra Terra.

Pensate: se la regola fondamentale della “Vita”, nel suo senso più ampio e profondo, è esprimibile nel concetto di “ADATTAMENTO NEL TEMPO”, allora è ragionevole pensare che su Titano, in fondo (e riflettendoci bene), potrebbero essere in corso da ere ed ere (!) processi tali da aver consentito la nascita e lo sviluppo di Forme di Vita indigene assolutamente peculiari, per noi inimmaginabili e, per ovvi motivi, completamente diverse da quelle che caratterizzano la Terra e gli ipotetici ambienti alieni di tipo simil-terrestre.

Il fatto che la ricerca (talvolta esasperata) di similitudini fra altri mondi ed il “nostro” mondo costituisca una caratteristica peculiare e propria della Scienza (Astronomica e non solo) Moderna e dell’atteggiamento degli scienziati che la praticano è indubitabile; ma che un simile approccio, alla fine, non possa venirsi a caratterizzare se non per la sua intrinseca limitatezza (e per lo strabismo scientifico che geneticamente lo affligge), ci sembra un elemento sul quale si dovrebbe riflettere meglio e maggiormente.

(continua)

 

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