One Spirit and One Opportunity… – Un Viaggio nei Mondi dell’Anima, del Dr Gianluigi Barca
“…Poi vidi un nuovo cielo e una nuova terra…”
Giovanni – Apocalisse 21,1
Parlare del “viaggio”, del vedere e conoscere ciò che attorno a noi scorre e vive, è già un’occasione che, per molte persone, sfocia nel condividere ricordi ed emozioni di un qualcosa di stupefacente, capace nel bene e nel male di farci riflettere su ciò che sentiamo più grande di noi: la Vita stessa, la nostra Vita.
Porre lo sguardo sui viaggi che, invece, la Mente Umana può affrontare con la sola forza del pensiero, è senz’altro un’impresa tanto affascinante quanto immensa: in tutte i miliardi di esperienze che in ogni istante si incrociano – le nostre esistenze – troveremmo molti viaggi che ognuno di noi, grazie ad infinite variabili di Spirito ed Opportunità, si è trovato a vivere con la mente.
Se qualcuno se l’è cavata con qualche sogno, nella stragrande maggioranza dei casi potremo notare come tante persone – attraverso lo Studio, o grazie alla Musica ed all’Arte in genere, oppure (talvolta) facendo uso di sostanze psicotrope a scopo ludico o rituale, e così via – si sono spesso trovate davanti, anzi dentro, a veri e propri Mondi Paralleli ed Alternativi, capaci di aprire, nell’arco di tempi assolutamente casuali, finestre su micro e macrocosmi tanto reali, quanto mentali.
Sull’approdo presso questi mondi restano meravigliose le parole di A. Haxley: “Come la terra di cento anni fa, la nostra mente ha ancora le sue più oscure Afriche, il suo Borneo, e i suoi Bacini delle Amazzoni non registrati nelle carte geografiche. (…) Come la giraffa e l’ornitorinco dal becco di anitra, le creature che abitano queste più remote regioni della mente sono straordinariamente improbabili. Nondimeno esse esistono, sono fatti dell’osservazione, e come tali non possono essere ignorate da chiunque cerchi onestamente di comprendere il mondo in cui vive…”; paragonando la nostra mente al “Vecchio Mondo di coscienza”, il subcosciente diviene ora una serie di “Nuovi Mondi dell’Esperienza Visionaria”.
Le stesse tradizioni religiose manifestano, seppur in modo ormai velato nella nostra società, una conoscenza ed un’implicita consapevolezza di questi universi meravigliosi, o perlomeno spesso tali, poiché “altrove” ci sono molti (ed auspicabili) Paradisi, ma esistono anche svariati (ed assai temibili) Inferni.
Senza esplorare le moltissime testimonianze odierne sullo sciamanesimo tribale, basta fare pochi passi per trovarsi vicini – anzi padroni – di casa di culture e tradizioni che ancora oggi innalzano elementi quali il vino come simbolo del contatto con il Divino, ed il ballo estatico (si pensi solo al sufismo nel mondo arabo, o le tarantelle e le litanie popolari nel Nostro Paese) come una strada – una fra le tante – per raggiungere i nostri non-io.
La Fede sicuramente accoglieva ed accoglie il credente in un contesto preparatorio e ideale al grande viaggio mentale – rectius: spirituale – ma ancora oggi sono poco esplorate molte delle cause puramente biologiche che transitano, da sempre, l’Uomo verso “altri Lidi”.
Nell’antichità i vari digiuni, la carenza di proteine e vitamine, le probabili infezioni dovute ad igiene insufficiente e supplizi con tanto di ferite, erano certamente un campo fertile per allucinazioni e visioni, senza contare le ore di preghiera e canti, tanto simili, negli effetti, alle respirazioni di molte tradizioni orientali: un forte accumulo nel corpo di anidride carbonica, e voilà: il viaggio comincia!
Esemplare resta uno dei più celebri ed antichi eventi della Vita Greca e del Mediterraneo intero, ovvero i Misteri Eleusini, rituale nel quale, dopo lunghi preparativi, l’iniziato era chiamato ad ammirare il mistero del ciclo eterno della Vita, della Morte e della Rinascita.
Anche se ciò che accadeva nel telesterion, la sala d’iniziazione del tempio, era coperto dal più rigido segreto, tutte le fonti antiche non possono fare a meno di testimoniare come qui accadesse un’esperienza mistica assolutamente unica.
Pausania ci informa che: “I Greci più antichi, infatti, consideravano i Misteri di Eleusi tanto superiori in onore a tutti gli atti che riguardano la religione, quanto gli dei sono superiori a tutti gli eroi”.
Per quasi duemila anni migliaia di persone si recarono ad Eleusi, all’incirca nel mese di settembre, e qui gli iniziati parteciparono ad un’esperienza che gli avrebbe cambiato la vita.
In un frammento di Sofocle riguardante i Misteri Eleusini leggiamo: ”O tre volte felici quelli fra i mortali, che vanno nell’Ade dopo aver contemplato questi Misteri : difatti solo ad essi laggiù spetta la vita, mentre agli altri tutto va male laggiù”.
L’iniziato, che prima era chiamato mistes, dopo la visione eleusina diveniva un epoptes – ossìa “colui che ha visto”.
L’epopteia era dunque una sapienza che derivava dall’alta visione eleusina, e Platone vi si riferisce in uno splendido passo del Fedro: “Ed eravamo iniziati in quella che è giusto chiamare la più beata fra le iniziazioni, quel rito segreto che celebravamo, noi stessi integralmente perfetti e sottratti a tutti i mali che ci attendevano nel tempo successivo, mentre integralmente perfette e semplici e senza tremore e felici erano le apparizioni -entro uno splendore puro- cui eravamo iniziati e raggiungevamo il culmine della contemplazione...”.
L’estasi eleusina permetteva così all’iniziato di aprire gli occhi oltre la morte, contemplando la sacra visione che gli avrebbe fatto conoscere il fine della Vita ed il principio dato da Zeus.
Dunque il mistero eleusino rappresentò l’apice di ciò che si potrebbe definire la “conoscenza mistica”, e la sacra visione era indubbiamente dovuta alla bevanda del Kikeion; l’ipotesi più attendibile resta senz’altro quella di Wasson, Hofmann e Ruck che, basandosi sulle proprietà del grano e dell’orzo – attributi principali di Demetra, la Divinità alla quale era consacrata Eleusi –, hanno scoperto come quest’ultimi, una volta contaminati dall’ergot claviceps purpurea, loro infestante per eccellenza, fossero una facile ed accessibile fonte di ergina ed ergonovina, alcaloidi psicoattivi praticamente identici all’acido lisergico (meglio noto come “lsd”), grazie ad un semplice processo di idrosoluzione.
A molti sembrerà strano – a dir poco – ma molti studi confermano come gli antichi custodissero un’antica saggezza sugli effetti psicotropi di molte piante: una conoscenza botanica tanto arcaica, quanto misteriosa; Persefone, figlia di Demetra, viene rapita da Ade toccando un narciso: questa pianta deve la radice del suo nome – issos – al dialetto del popolo agrario insediato in Grecia prima della migrazione degli Indoeuropei e il suo bulbo contiene narcissina ed è tossico anche se toccato a mani nude; è una pianta infera e il suo stesso nome rimanda a ciò che è la narcosi ed il narcotico.
Varie raffigurazioni greche mostrano inoltre capsule d’oppio che, come il melograno, venne associato alla fertilità ed all’immortalità sin dai tempi minoici micenei: l’oppio era associato al Dio dei Sogni, Morfeo, alla divinità del sonno Hypnos, della notte Nyx e della morte Thanathos.
Raffigurazioni e racconti, inoltre, richiamano sorprendentemente all’uso di funghi allucinogeni; Perseo, fondatore di Micene e rappresentante degli indoeuropei invasori della Grecia (intorno al duemila a.C.), dovrà recarsi agli Iporborei per tagliare la testa a Medusa, unica mortale tra le tre sorelle Gorgoni (rappresentanti un altro aspetto della Grande Madre pre-indoeuropea) e un’anfora del IV secolo a.C., conservata a Berlino, rappresenta questa scena tra vari funghi presenti negli Iperborei.
Pianta sacra per eccellenza dei popoli indoeuropei, dato ormai ampiamente dimostrato, era il famoso fungo Amanita Muscaria (del gruppo isossazolico), noto per i suoi effetti allucinogeni e presente ancora oggi in quasi tutti i nostri racconti di “fate e gnomi”.
Pausania racconta che sempre Perseo fondò Micene là dove raccolse un fungo e bevve l’acqua che ne sgorgò dal terreno provandone piacere (chiara metafora dell’uso enteogenico del fungo); sta di fatto che lo stesso nome Micene – Mikenai – è il femminile plurale di mikes, ovvero fungo, e spesso nei vasi, piatti e anfore in cui si osservano satiri e menadi danzare, quei grappoli di uva che circondano la scena sono, ad una più attenta osservazione, delle precise amanite.
Per chiudere questa parentesi sulle antiche testimonianze greche, si noti inoltre che il tanto celebrato vino donato agli uomini da Dioniso, anche se è sicuramente affine alla vite, non era certo la bevanda che oggi intendiamo noi; prima di tutto vi erano vini sacri e non, poi, cosa più importante in questo ambito, alla vite erano aggiunte altre piante, le cui sostanze psicotrope sono l’unico modo per comprendere gli usi e gli effetti testimoniati da molti scrittori e poeti del tempo.
Usanza assai testimoniata dei Greci era quella di diluire il vino con alte percentuali d’acqua: Ateneo consiglia di mescere ogni parte di vino con tre di acqua, mentre Plinio pensa di aver scoperto il giusto modo di berlo diluendolo con ben otto parti d’acqua.
Questo vino è potentissimo, anche se allungato: il suo tasso alcolico estremo non poteva essere oltre il 14% (senza distillazione, che arriverà solo nel medioevo) visto che la fermentazione a tale stadio è fatale ai lieviti che la producono, e non si poteva aggiungere gradazione alcolica (sempre mediante distillazione) né basarsi sull’evaporazione, poichè l’alcool ha un grado di ebollizione minore dell’acqua.
Detienne nota come nel teatro di Aristofane il fatto di concedersi un bicchiere colmo di vino puro è come giocare alla roulette russa: le opzioni sono la morte istantanea oppure uno stato di trance profetica.
Nella Storia delle Piante di Teofrasto troviamo, a seconda delle località, vini che rendono feconde le donne o le fanno abortire, vini che causano impotenza, altri che fanno assopire o che con un solo sorso provocano il delirio.
L’arte del bere è dunque rivelazione, richiedendo così delle precauzioni che, per il Greco, dovevano essere ben familiari.
Casuali, indotte, ricercate o meno, le porte che si aprono tramite ipnosi, trance, sogni e visioni pure e semplici assorbono l’uomo spettatore, ed a volte anche attore, dentro paesaggi “altri”; ma la creazione di questi Mondi implica anche una loro oggettiva “Realtà”?
È davvero certo che se un uomo, per qualsiasi motivo, vive un’esperienza in questo Mondo “alternativo”, di tale Mondo egli deve per forza essere il Creatore?
Le Visioni ci appartengono o noi apparteniamo ad esse?
Le Visioni ci parlano o siamo a parlare attraverso esse?
Esistono, tanto e più di noi, e all’uomo non resta che ascoltarle o sono solo una creazione dell’Uomo Visionario?
Tante tradizioni, ma anche molti “esploratori”, hanno la certezza che questi Mondi Paralleli sìano un’assoluta realtà.
La parola stessa “estasi” rimanda all’uscire dal sé, ma le testimonianze, pur con tutte le abissali differenze ambientali e culturali che le differenziano, concordano incredibilmente su una cosa: Vedere l’Essenza, tra sensazioni piacevoli e splendenti, o tra gli antri e le urla di antiche sibille profetiche, quello che accade in quel momento è ascoltare un’Essenza che da sempre e per sempre appare, che esiste, che vive.
Negli ultimi secoli abbiamo molte testimonianze di poeti, come Blake con le sue visioni di cherubini e demoni, ma anche di intere epoche di movimenti letterario–culturali in tutta Europa, che vivono il Viaggio Mentale come fonte di ispirazione: solo per citare i più celebri si vedano artisti quali Baudelaire, Coleridge, Pascoli e Montale, solo per le magnifiche fotografie “viventi” che ci regalano dell’altrove”, o i bellissimi ed immensi naufragi leopardiani, le straordinarie città invisibili di Calvino, con le loro strade capovolte ed i profumi intensi, per non accennare a Dante con i suoi Mondi In-Cantati: paesaggi che ci ispirano il sorriso laddove posti davanti ai nostri ultra tecnologici effetti speciali.
Non basterebbero libri e libri per continuare la lista di poeti e scrittori che hanno visto “oltre”, e siamo solo all’Arte Letteraria.
E che dire allora di quelle opere scultoree senza tempo del mondo antico, dove Divinità, Eroi o semplice eventi della quotidianità, aprono le porte del Tempo e della Memoria, permettendo anche a noi osservatori di ri-vivere quelle leggende e quei momenti?
Che dire delle opere architettoniche che sembrano sfidare cielo e terra, grazie alla loro magnificenza; opere capaci di farci vedere, sentire, la loro più intima essenza?
Che dire della Pittura, della Musica, e di tutti i Mondi Artistici e Culturali che l’Uomo, ogni giorno, esplora o tenta di esplorare?
Visioni rese immortali: tante opere artistiche sono anche questo.
Molti oggetti, come gli strumenti musicali e le stesse parole di un testo, la sua melodia ed i passi di una danza, sono mezzi per poterle avvicinare.
Se oggi la musica elettronica ha spesso portato all’eccesso le sue potenzialità ludiche, nell’antichità i ritmi ossessivi di sistri, tamburi e flauti erano, allo stesso tempo, in grado di aprire le porte dei mondi sotterranei, di far guarire o di condurre alla follia coloro che ascoltavano; e così l’armonico ed ordinato suono di cordofoni, quali lire e cetre, poteva calmare e/od accompagnare l’uditorio nella Memoria, nel Mito, dove ciò che era accaduto, accadeva ancora una volta e poteva quindi essere vissuto di nuovo.
Al musicista, all’aedo antico, è concesso l’ascolto privilegiato dell’“oltre”, e ciò che canta è ciò che è, ciò che è stato e sarà, perché è la Musa, il Divino, che canta.
Ed allora, forse, anche nella Scienza ed attraverso Essa possiamo trovarci al cospetto di Mondi “Altri” (e cioè Alieni, Alternativi, Paralleli etc.)?
Banalmente potremmo dire che un semplice microscopio, oggi, permette di vedere, dentro un semplicissimo fiocco di neve, meravigliosi ed incantati mondi, colmi di figure bellissime e di colori sorprendenti.
E poi, grazie ai più moderni telescopi, satelliti e sonde, finalmente possiamo vedere la Terra dal cielo, assieme a pianeti, satelliti, stelle e galassie lontane.
Ma se ci volessimo per un attimo addentrare nel metodo scientifico, nei suoi pensieri così spesso rigidi e, paradossalmente, quasi dogmatici, potremmo notare come alla base di grandi scoperte o invenzioni, linfe della Ricerca, si trovino, quasi dimenticate, le Intuizioni di grandi Ricercatori e Scienziati.
Che si pensi alla celebre mela di Newton o allo stupore di Einstein per le sue teorie (e al suo maggior stupore, a sua detta, che esse fossero così accolte!), si noti come l’Intuizione, nell’Uomo di Scienza come nell’Uomo Comune, sia un qualcosa che sfugge al raziocinio: uno squarcio nel compatto tessuto dell spazio-tempo; un indefinibile ed effimero sguardo, operato con “altri” occhi, sull’altrove.
Poi, dopo il ritorno, saranno le Teorie e gli Esperimenti a parlare.
Questa percezione, questa comunicazione con l’altro Mondo Mentale, queste visioni–intuizioni assolutamente inedite e misteriose, sono descritte da Schopenauer come strade non solo non dimostrabili empiricamente, ma neppure pensabili: “…è la strada che non passa per spazio e tempo, attaccata ai binari della casualità: è la strada attraverso la cosa in sé”.
E se lo Spazio apre porte verso luoghi inimmaginabili e modifica le nostre percezioni, che dire del Tempo?
Solo per restare in epoca moderna, il grande filosofo Bergson evidenzia scrupolosamente come l’uomo possa vivere un tempo–memoria meccanico ed un tempo–memoria vissuto: sia la quantità che la qualità del Tempo sono, come la (anzi, le) realtà, strati diversificati di coscienza, dove i livelli più meccanici (scientifici?) ci consentono di trascorrere le nostre esistenze nel mondo, mentre i piani più profondi, sensibili, consentono di vivere (si, vivere) immagini ed intuizioni proprie della nostra essenza, lontani da quella “attenzione alla vita” che spesso ci distrae dal nostro Essere.
Sono rivelazioni, mondi che neppure riusciamo a spiegare, e che per essere descritte necessitano di immagini e metafore, perché (e ricordarcelo sarebbe un esercizio veramente notevole) il nostro linguaggio, i nostri concetti, le nostre esistenze, oggi, sono quasi totalmente immerse nel pratico, e sicuramente di pratico non c’è molto nel ricordarsi un momento vissuto, un lontano ricordo, un profumo o un paesaggio che, chissà quando e perché, ha lasciato aprire alla nostra mente mondi alternativi, dove i pensieri si sono fermati ad ammirare ed ascoltare realtà inspiegabili, ma meravigliosamente vere e indimenticabili.
Soffermandoci sulle nuove tecnologie, non si può fare a meno di pensare a come le potenziali ispirazioni che la nostra mente può avere dalle aspettative e dalle immagini delle missioni spaziali siano pressoché infinite.
Ammirare una galassia, o una lontana e soffusa nebulosa, è già un momento nel quale molte persone si perdono facilmente con la fantasia: possibile che simili bellezze arcane esistano?
Possibile che ci sìano così tanti miliardi di galassie e, in ognuna di esse, altrettanti milioni di Sistemi Solari?
Davanti a simili spettacoli, così maestosi, sicuramente è difficile non ritrovare in sé una meraviglia quasi fanciullesca.
Ma anche restringendo il panorama le cose non cambiano poi di molto: ieri dalla Luna, oggi da Marte, gli scorci che vediamo da quei mondi misteriosi ed affascinanti dilatano spesso e volentieri la mente e l’ispirazione di chi li osserva.
Pur con tutti i limiti che ancora abbiamo nella psicologia, sappiamo che la visione di un’opera artistica può portare l’osservatore a vivere altrove con tutta la sua interiorità (si pensi solo alla celebre Sindrome di Stendhal); ma con le dovute differenze si può riscontrare una simile reazione, in determinate occasioni e persone, di fronte alle fotografie – cosa abbastanza comune persino con le classiche foto ricordo di viaggi e persone – capaci di trasportare l’osservatore verso luoghi e tempi altri.
Se a quasi tutti è capitato di perdere la cognizione del tempo a causa di un semplice ricordo od emozione causati dall’arte – perché no? – fotografica, a molti questa parentesi mentale ha donato, a taluni spesso mentre ad altri più raramente, un vero e proprio biglietto di andata e ritorno verso visioni e sogni ad occhi aperti, con tanto di storie alternative dalle trame fantastiche, ricche di colori nuovi, di profumi irreali, di dettagli affascinanti e di sensazioni sino ad allora mai provate: un cammino mai battuto in un territorio inesplorato.
E ci risiamo dunque; la Vita mostra le Sue Profondità e, per scelta consapevole o meno, il Tempo e lo Spazio cambiano moto, direzione ed intensità; le Realtà si svelano, la mente dell’uomo si apre e, finalmente, scorre e si immerge nella sua vera, immensa ed eterna Essenza: l’Essere.